Opening > 24 settembre 2021, ore 18.30
Finissage > 22 ottobre 2021
La superficie di un quadro, limite per l’occhio ma non per i sensi. Le forme, ora piene ora svuotate non definiscono confini, si possono percorrere alla ricerca di quel momento d’inizio, il centro da dove continuare a muoversi nello spazio fuori dai confini bidimensionali dell’opera.
Mauro Castellani costruisce spazi.
Spazi mentali, con estrema raffinatezza e rarefazione. Con prevalenza di bianco e nero e pochi sfumati eleganti cromismi leggeri, quasi leggiadri. È una geografia spaziale fuori dalla gravità, fuori dalle tre dimensioni, o meglio con più dimensioni che spiazzano il sopra e il sotto, il dentro e il fuori. Una precisione di linee e di campiture che però non si sa da dove nascano o su quali piani stiano. È tutto un gioco mentale nel quale si diverte a eliminare il piano sul quale poggia lo spettatore. Un ateo della realtà concreta, un ateo della figurazione o meglio un inventore di nuove figure senza peso, senza materia pesante. Potrei definire la sua arte, perché di questo si tratta, arte spaziale pensata e ragionata con la gioia di un Dio bambino che invece di materia crea poesie figurative, con lievi modifiche, quasi rime alternate o baciate.
Geppi De Liso
Un viaggio dentro la scienza percettiva.
Raffinata ricerca del saper vedere. L’artista s’inerpica sul complesso spazio della ragione, riallacciando i nodi della scienza della percezione. Ricerca razionale delle relazioni spaziali, delle percezioni e degli inganni, nel quadro del nostro campo sensoriale. L’autore intreccia con arte i paradigmi degli indizi di profondità, monoculare e binoculare (ovvero fondato sui differenti punti di vista). In alcune opere le campiture cromatiche sembrano sgranarsi per ritrovare e forse riannodarsi con una memoria lontana, tra ombre e inedite grane materiche. Qui lo stereometrico geometrismo astratto sembra frantumarsi per dialogare con altre storie. Le nitide letture cromatiche sembrano contraddirsi, tra campi chiari e scuri. Forse un’allusione simbolica alla frantumazione dell’antico rigore. Oppure un segno del nostro tempo che ci parla della nostra instabilità.
Gerardo Manca