Dal 7 ottobre all’ 11 novembre 2023
A cura di Lorenzo Madaro
Inaugurazione: sabato 7 ottobre ore 18.00
Gaetano Fanelli. L’elogio del segno e il peso specifico della materia
Lorenzo Madaro
Segni che si congiungono per tracciare linee che, incontrandosi, costituiscono specifiche forme e, forse, costellazioni imperscrutabili.
Segni essenziali, esigenti, in grado di prolificare un immaginifico spazio in cui incontrare mappe del cielo e ulteriori visioni.
Sono segni tracciati con una cura estrema su lastre di ardesia: un gesto finemente delicato, costruito con una lenta pratica su una roccia trattata con cura assoluta.
Gaetano Fanelli con questa mostra che segna un suo ritorno nella propria città, Bari, ribadisce la sua natura di autentico homo faber, con inesauribili competenze tecnico-operative, sapienza sul comportamento e l’uso dei materiali e conoscitore delle loro medesime declinazioni, che di volta in volta studia e impiega nel proprio studio con un processo lento e meditativo che coniuga disegno, progetto, pittura, spazio, ambiente, come svela questa mostra in cui l’artista ha costruito un percorso negli spazi della galleria attraverso due grandi installazioni site-specific.
Il lavoro sulla materia per il maestro barese è, in fondo, una forma di conoscenza della natura e delle sue reazioni e trasformazioni, lo si comprende scrutando la prima installazione montata nello spazio: una costellazione di forme triangolari che intervallano il passaggio dello spettatore obbligandolo a osservare le distanze, le differenze e anche le differenti genealogie segniche che contrassegnano ogni singola lastra d’ardesia incisa. Il disegno è progetto, ma anche traccia: in questo duplice senso e in questa doppia pratica si avverte il sentimento di appartenenza di Gaetano Fanelli anche alle sue radici d’artista, che l’hanno visto dialogare con maestri straordinari transitati da Bari grazie alle intuizioni brillanti della gallerista Marilena Bonomo – con cui ha collaborato –, ma anche a percorsi di dialogo con artisti della sua generazione, tra tutti Biagio Caldarelli, scomparso nel dimenticatoio che la Puglia spesso crea coscientemente.
Il vuoto scava la materia, le superfici della scultura, le rimodula, restituisce memoria e profondità al peso dell’ardesia, che assumono connotati di una leggerezza senza precedenti. Lo stesso accade nelle carte di Fanelli, tessiture di rigore segnico, meditato ma anche spontaneo. «Un segno esiste in relazione ad altri segni dal momento in cui con essi forma una struttura; e, perdendo qualsiasi qualità arbitraria esso abbia, acquisisce una capacità di significare magica e intelligente di stretta necessità, ma allo stesso tempo anche di gioco imprevedibile e ambiguo»1: questa riflessione di Carla Accardi mi pare calzante anche per una buona parte del lavoro di Fanelli, in cui talvolta la tessitura di elementi grafici diviene fitta, altre volte la superfice dell’opera è un campo aperto, libero, rigoroso, in cui la musicalità dei singoli interventi, veri e propri accordi, evidenziano trame libere e al contempo studiate, intrecci vibranti, tenui o incisivi, in ogni caso misteriosi. L’aspetto del mistero è una costante nel suo lavoro, che preleva inoltre tracce essenziali dal mondo della geometria ma anche dalle microstrutture biologiche. Anche quando ha usato la pittura, Fanelli l’ha intesa come forma disegnata, come luogo in cui costruire e intrecciare segni, spazi, luoghi reali e immaginifici in un unico grande spirito che è quello dell’equilibrio formale ma anche di quell’alone di mistero poetico che fa dei suoi lavori uno spazio intrinseco di sosta. «Non ci si dovrebbe chiedere se o perché un segno significhi qualcosa ma, piuttosto, se può darsi che sia insignificante, visto che un segno dice almeno di essere apparso e questo è già un significato». Ed ancora: «I segni sono tracce di gesti ma, prima ancora, sono segni di intenzioni. Improvvisamente appaiono sulla carta, crescono, potrebbero crescere ancora o sparire»2. Queste meditazioni di Guido Strazza mi hanno fatto pensare molto al lavoro pittorico di Fanelli, che a differenza delle opere proposte in questa occasione espositiva è più mediterraneo e talvolta più sensuale nella sua fisicità segnica.
Fermarsi oggi a guardare le opere di Gaetano Fanelli in questa mostra significa perdersi in un duale rapporto tra la forza totalizzante della materia scultorea e il segno sicuro e insieme leggero dell’incisione: sono due vertici che si incontrano e che man mano prolificano, così come gli angoli dei triangoli che compongono le forme delle ardesie. Alcune rimangono composte, aiutano a costituire una modularità. Altre rompono lo schema, sono l’eccezione alla regola.
Sono lavagne, in fondo, da osservare nella loro orizzontalità, sono luoghi di accoglienza di scrittura e alfabeti, di simboli e intersezioni. Sono puro disegno. Ed è qui che risiede l’essenza stessa del pensiero di Gaetano Fanelli, ovvero la capacità di trasformare il destino dei materiali: la scultura diviene disegno; la carta – protagonista del grande lavoro installativo nel piano ipogeo della galleria – diviene forma plastica e scultorea attraverso una precisa progettualità. Il muro è costellato da oltre 550 moduli di carta – realizzati a mano dall’artista – su cui è tracciata la scritta Lampante, che rammenta una storia antica quanto profonda, in cui la Puglia era terra di esportazione, sin dall’antichità, di olio destinato all’illuminazione e alla genesi del sapone, e i luoghi ipogei erano il teatro di una rivelazione ma anche di una fatica fisica e mentale notevole, straniante. Quella parola oggi domina con ossessiva modularità sulle carte che diventano, tutte assieme, ambiente da vivere con lo sguardo e il proprio passo, riportandoci a una dimensione di alterità, anche percettiva. Ma ancora una volta il bianco della carta concepita artigianalmente dall’artista accoglie e protegge, ci fa sentire parte integrante di un microcosmo, che è quello dell’arte e della sua magia, soprattutto quando è frutto di una studiata sintesi, a cui Fanelli è giunto grazie a un graduale e lungo percorso che è stato, anzitutto, meditativo.
1 Questa riflessione di Carla Accardi è stata riportata da H. U. Obrist nel suo Dontstopdontstopdontstopdontstopdontstop, Postmediabooks, Milano 2010, p. 106. Il testo dedicato alla Accardi era stato già pubblicato in Carla Accardi dalla A alla Z, catalogo della mostra (MACRO, Roma, 2004), a cura di D. Eccher, Electa, Milano 2004.
2 Entrambe le citazioni sono tratte da Strazza. Opere grafiche 1953-1990, catalogo della mostra (Roma, Calcolgrafia Nazionale, 1990), testi di AA.VV., Edizioni della Cometa, Roma 1990.