FRAGIAIL
E’ da poco rientrata da New York, Annamaria Suppa. Nella Grande Mela, poiché c’è suo figlio, torna spesso e qualche anno fa vi ha tenuto anche una mostra. Ciò nonostante i famigliari affettuosamente le rimproverano un po’ di snobistica pigrizia nell’imparare l’inglese, per cui talvolta annotano su un foglio la pronuncia dei termini che deve usare. Nasce da qui, da un segreto giochino privato, il titolo di questa personale: “Fragile”, da pronunciare però all’inglese, “fragiail”. Fragile (fragiail) come la forza di questa signora dell’arte barese, indomita sperimentatrice di tecniche e linguaggi.. E fragile (fragiail) come il materiale che in questa occasione, per la prima volta in una lunghissima carriera avviata da quasi sessant’anni, ha deciso di sperimentare, ossia il vetro. Un materiale per molto tempo relegato alla sottovalutata sfera delle “arti minori”. Di cui l’arte contemporanea ha rilevato invece le enormi possibilità espressive, la capacità anche simbolica di riflettere la realtà, le qualità di superfice insieme duttile e plasmabile, solida oltre che fragile (si pensi, in Italia, a rassegne ormai consolidate come “Glasstress” a Venezia, che coinvolgono artisti di spessore internazionale nell’interpretazione creativa di questo medium). Di vetro fuso sono i nove grandi riquadri che fanno da fulcro inedito a questa esposizione. Colorate lastre astratte dove l’incastro frammentario di segni, macchie, inserti, che costituisce la peculiare cifra pittorica dell’autrice, s’incastona con sincretica magia dentro la materia. Annamaria si è interessata un pò per caso alle potenzialità della sostanza vitrea. Con stupore e curiosità quasi infantile si è messa a provare le polveri cromatiche, sondando i diversi effetti di controllata sorpresa che la cottura in forno le restituiva. Il risultato, pilotato da arguti accorgimenti, pennellate a dito, inserimenti materici, bolle, sovrapposizioni, non ha nulla di artigianale o decorativo. E’ invece un’ulteriore tappa, forse solo temporanea, di un discorso che in modi diversi ci restituisce in misurata traccia gestuale “Frammenti aggiunti”, evocatori di uno stato “Upside down”, rivelatori anche di un “Dark side” e di “Bollenti spiriti”, come suggeriscono talvolta ironicamente alcuni titoli. Lacerti di visioni e di memorie, trasfigurati in stratificati segni-luce. Proprio l’attenzione per le trasparenze luminose fa da collante tra questa serie e quella in parte coeva costituita dai moduli in plexiglass qui esposti. Era stata avviata due anni fa con il grande “Gioco dell’oca” didattico e relazionale in versione artistica, che aveva impresso una vivace svolta policroma al registro di neri e bianchi presente nei suoi quadri. Di questa vena più sobria e malinconica reca testimonianza, al piano sottostante, “Generazioni”, tavola in plexi con reticolo metallico realizzata per una precedente personale che innestava su suggestioni cosmiche (il “wormhole”) ricordi e affetti di famiglia. Si estende invece all’ambiente la mediterranea installazione marina con lunghi teleri in acetato sospesi dall’alto e sormontati da un lungo forcone in lana di vetro. Pirandelliano “uno, Nettuno, centomila” improntato su pittoriche ma analoghe e fragili trasparenze. La fragilità diventa dunque in Annamaria Suppa la cifra di una riflessione visiva dagli impliciti risvolti esistenziali, che si ribalta però nel suo contrario. “Ci sono uomini che sono troppo fragili per andare in frantumi. A questi appartengo anch’io”, scriveva Ludwig Wittengstein. Una frase che ben si adatta all’artista, al suo temperamento, alla sua storia e al suo lavoro: contrassegnato da un’energia creativa inossidabile (pardon, infrangibile), tesa verso una ricerca continua e perennemente in progress.
Antonella Marino
Comunicato Stampa
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