Gianfranco Basso
Nel lavoro di Basso, pur nell’innegabile originalità, non è difficile leggere i segni di una riflessione profonda sul passato artistico, italiano in particolare. Nella precisione del segno, ad esempio, sempre conciso e mai esuberante, si legge in controluce il rigore del Rinascimento, mentre nelle atmosfere silenti e negli isolati protagonisti non è difficile riconoscere l’atteggiamento meditativo e solipsistico della Metafisica, nella versione però più prossima all’essenzialità morandiana che alla nostalgia classicheggiante di De Chirico. Un atteggiamento meditativo seguito da un fare discreto, il tutto filtrato attraverso le strette maglie della contemporaneità, quella stessa contemporaneità di cui l’artista sente di far parte, che avverte forte ma non dogmatica, interpretabile sul piano gnoseologico ma non necessariamente operativo. Ed ecco che alla seduzione dei mezzi tecnologici e dei linguaggi più attuali, Basso preferisce il candore di un mezzo antico ed inaspettato com’è quello del ricamo. Un medium non proprio à la page nell’era del virtuale, rievocativo di un fare lento e silenzioso, caparbio e paziente, di tradizioni antiche e atmosfere domestiche, che nell’Italia del Novecento ha avuto due soli grandi assertori: Alighiero Boetti e Maria Lai. Ed è soprattutto a quest’ultima che è possibile avvicinare il lavoro di Basso che, come la grande artista sarda, interpreta quotidianamente la creatività come uno sforzo speculativo e manuale insieme, nel quale il progetto non è mai disgiunto dalla realizzazione concreta e il risultato non tradisce l’obiettivo comunicativo, facendosi portatore di significati morali e sociali. Nella dimensione appartata, a tratti epica, dello studio, Basso ricama ogni giorno, senza timore di apparire anacronistico, con il solo scopo di esprimersi, nella totale noncuranza (che non è disinformazione) di ciò che via via, in altri contesti e ad altre latitudini, si pensa e si produce. Telaio a cerchio, fili variopinti e tessuti neutri, ma anche rigati o floreali, hanno preso il posto di tele e colori, rappresentando i nuovi-vecchi strumenti per la conquista dell’intangibile, in una dimensione solo all’apparenza paradossale, in cui le basi del nuovo si rintracciano nell’antico.
Senza mai rinunciare alla riconoscibilità del soggetto, Basso tratteggia le sue figure, dando origine ad inciampi percettivi che nel’ imperfezione trovano la loro paradossale completezza. Opere calligrafiche, in cui oggetti, pensieri e frangenti sono epurati del superfluo, apparendo estrema sintesi del tema di partenza. Immagini incongrue si trovano a convivere in un mondo enigmatico, inducendo lo spettatore a continui cortocircuiti mentali e predisponendolo al recupero memoriale e alla riflessione profonda. L’artista riformula iconicamente il concetto del vuoto, agisce per mancanze e sottrazioni, dando vita a opere non costrette nei limiti del mezzo prescelto ma capaci di trascendere le consuete modalità percettive. Giocando a raccontare eventi emotivi e visivi attraverso un uso elegante della composizione, l’artista riallaccia i fili con la vocazione narrativa dell’arte, sospendendola in una dimensione onirica e poeticamente rivisitata della realtà, senza clamori né pentimenti, finalmente appagato dalla tanta agognata individualità.
Carmelo Cipriani